'Non sapevo fosse un reato'
Considerare il mondo virtuale come una zona franca in cui tutto è lecito o privo di conseguenze è un errore molto diffuso tra i giovani.
In breve si possono sintetizzare quali possono essere le conseguenze reali delle nostre azioni virtuali. Si parte dal presupposto che nessuno può evitare una pena giustificandosi con la frase “non sapevo fosse un reato”, “non volevo, non credevo, era solo uno scherzo”.
Chi è maggiorenne e compie uno dei fatti che la legge considera reato è passibile di sanzioni penali.
Per quanto riguarda i minorenni si distinguono due casi:
- tra i 14 ed i 17 anni: il giudice valuta, caso per caso, se il giovane è capace di intendere e di volere. Se lo è, seppur con una riduzione di pena, potrebbe subire una condanna penale, ad esempio la detenzione nel carcere minorile.
- fino ai 14 anni: penalmente non si è perseguibili. Ma le sanzioni penali non esauriscono le conseguenze di un fatto illecito!
Esiste anche la responsabilità civile, la quale impone di risarcire i danni materiali e morali provocati alla vittima. Nel caso di minori, saranno i genitori a pagare i danni.
Molti giovani non hanno la consapevolezza che alcune azioni possono configurare una fattispecie di reato. Si giustificano in seguito affermando “era solo un gioco”, “non sapevo fosse un reato”. Di seguito un elenco di esempiconcreti, i quali documentano la varietà di condotte che possono confluire in un illecito punibile penalmente.
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Aprire un profilo Facebook, appropriandosi del nome di un docente, inserendo anche sue foto, per attribuirgli commenti. Così si rischia una condanna per il reato di sostituzione di persona ex art. 494 c.p., oltre al risarcimento danni per danno all’immagine.
- Prendere il telefono di un compagno, sbirciando a sua insaputa sms, foto e video. Si configura così una violazione della privacy ed il reato di accesso abusivo a sistema informatico.
- Condividere ripetutamente in un gruppo whatsapp la foto del volto di una compagna in un corpo di un animale, accompagnandola con commenti di scherno. Questo è un esempio di cyberbullismo. La condotta rientra nel reato di diffamazione aggravata. L’uso dei social moltiplica la platea ed aggrava la diffusione dell’offesa.
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Aprire un account anonimo sui social con lo scopo di subissare di messaggi aggressivi e molesti l’ex fidanzato/a perché ha tradito o ha lasciato. Si rischia una condanna per cyberstalking, più esattamente per atti persecutori ex art. 612 c.p.
Come ben si può comprendere, esistono una varietà di condotte poste in essere nel mondo digitale che si configurano come veri e propri reati. La legge non ammette ignoranza e punisce i colpevoli!
Immagine di copertina, fonte Unsplash.